Per
legge l'etichetta è "l'insieme delle menzioni, delle
indicazioni, dei marchi di fabbrica o di commercio, delle immagini
o dei simboli che si riferiscono al prodotto alimentare e che figurano
direttamente sull'imballaggio o su un'etichetta appostavi o sul dispositivo
di chiusura o su cartelli o su anelli o fascette legati al prodotto
medesimo
" (art. 1 D. Lgs. 109/92).
Al di là della definizione occorre osservare che le etichette
non solo vengono apposte per fornire le dovute informazioni circa
il contenuto della confezione posta in commercio, ma hanno una funzione
di richiamo, ossia devono attirare l'attenzione del consumatore mediante
illustrazioni e claim pubblicitari che vadano ad accattivare
anche il più distratto acquirente.
Necessario è pertanto conoscere i vari aspetti e problematiche
che si celano dietro l'etichetta alimentare al fine di operare una
scelta adeguata alle proprie esigenze.
Il cioccolato è un esempio emblematico di come valga la pena
soffermarsi qualche istante sulle etichette.
Forse non tutti sanno che da Marzo 2000 l'Unione Europea ha reso possibile
l'introduzione di grassi vegetali diversi dal burro di cacao in misura
non superiore al 5% del prodotto finito per la produzione del cioccolato
(Dir. Ce 36/2000). I grassi di sostituzione sono ad esempio il burro
d'illipè, l'olio di palma, il burro di Karatè o di Cocum,
oppure l'olio di cocco se utilizzato per la preparazione di gelati
o prodotti congelati analoghi (Allegato II, Dir. Ce 36/2000). Naturalmente
questi grassi sono meno costosi e pregiati rispetto al burro di cacao
(che deve comunque essere presente in una certa quantità minima).
Italia e Spagna si sono opposte alla decisione richiedendo la denominazione
di vendita "surrogato di cioccolato" per il prodotto di
qualità inferiore. A Gennaio 2003, l'Unione Europea ha dato
torto a Italia e Spagna in una sentenza senza appello. Il cioccolato
modificato dovrà solamente indicare la dicitura "contiene
altri grassi vegetali oltre al burro di cacao". L'informazione
quindi è presente in maniera sfumata e probabilmente in piccolo,
per cui è indispensabile apporvi attenzione.
Prima di entrare in merito alle specifiche diciture riportate nell'etichetta
dei prodotti di cioccolato occorre conoscere le informazioni che obbligatoriamente
compongono una confezione alimentare, che si possono di seguito brevemente
elencare:
- la denominazione di vendita,
che è la denominazione prevista dalle disposizioni che disciplinano
quel prodotto, ovvero il nome consacrato da usi comuni (art. 4, norma
sopra citata);
- l'elenco degli ingredienti,
che sono tutte le sostanze, compresi gli additivi, utilizzati nella
fabbricazione o nella preparazione del prodotto (art. 5); per quanto
concerne specificatamente gli additivi utilizzabili è necessario
far riferimento al DM 27 febbraio 1996, n. 209;
la quantità netta, cioè la quantità
che un preimballaggio contiene al netto della tara (art. 9). Essa
va indicata in unità di volume (l, ml) o di massa (kg, g);
sotto tale profilo va considerata anche la normativa metrologica prevista
dalla L. 25.10.1978 n. 690 che disciplina gli imballaggi preconfezionati
CE, nonché dal DPR 26 maggio 1980 n. 391 che riguarda invece
gli imballaggi preconfezionati diversi da quelli CE;
- il termine minimo di conservazione,
o nei casi di prodotti altamente deteriorabili, la
data di scadenza. Il termine minimo di conservazione
è la data fino a quando il prodotto alimentare conserva le
sue proprietà specifiche e va indicato con la locuzione "da
consumarsi preferibilmente entro" seguito dalla data. La data
di scadenza è la data entro la quale il prodotto alimentare
va consumato e va indicata con la locuzione "da consumarsi entro"
nonché l'enunciazione delle condizioni di conservazione (art.
10 bis);
-il nome o la ragione sociale o il marchio
e la sede del fabbricante o del
confezionatore o di un venditore stabilito nella Comunità
europea;
- la sede dello stabilimento di
produzione o di confezionamento;
- una dicitura che consenta di evidenziare il lotto
di appartenenza. Per lotto si intende un insieme di unità
di vendita di una derrata alimentare, prodotte, fabbricate o confezionate
in circostanze praticamente identiche. Il lotto è determinato
dal produttore o dal confezionatore del prodotto alimentare o dal
primo venditore della Comunità europea ed è apposto
sotto la propria responsabilità; esso figura in ogni caso in
modo da essere facilmente visibile, chiaramente leggibile ed indelebile
ed è preceduto dalla lettere "L", salvo il caso in
cui sia riportato in modo da essere distinto dalle altre indicazioni
di etichetta (art. 13);
- le modalità di conservazione e di
utilizzazione, e le istruzioni per l'uso qualora sia necessaria
l'adozione di particolari accorgimenti in funzione della natura del
prodotto;
- il luogo di origine e provenienza,
nel caso in cui l'omissione possa indurre l'acquirente in errore circa
l'origine o la provenienza del prodotto.
Detto ciò, ritorniamo all'esempio del cioccolato ed in particolare
alle denominazioni di vendita che la legge riserva a tale prodotto
solitamente indicate nel retro delle confezioni - spesso in posizione
di non immediata consultazione.
Per una esaustiva definizione dei vari prodotti di cioccolato e cacao
dobbiamo affidarci ad una normativa specifica di settore (come esiste
per esempio per molti generi alimentari come la pasta, le confetture
ecc..), che approfondiscono ulteriormente le più generiche
regole sopra elencate in materia di etichettatura.
Tale evoluzione legislativa ha reso obbligatorio per gli operatori
del settore conformarsi ad importanti modifiche dettate appunto dalla
direttiva comunitaria sopra citata, attuata a livello nazionale dal
D. Lgs. n. 178 del 12.06.2003.
E' dall'attenta lettura di tali testi normativi sopra menzionati che
il consumatore finale viene edotto della definizione di "cioccolato",
ossia di quel prodotto ottenuto da cacao e zuccheri che contenga non
meno del 18% di burro di cacao e non meno del 14% di cacao secco sgrassato,
e ciò indipendentemente dall'aggiunta di altri grassi vegetali
(in misura non superiore al 5% del prodotto finito) o di altre sostanze
commestibili o aromatizzanti.
Poiché tali percentuali non sono espressamente indicate in
etichetta, ma implicitamente contenute dall'uso della denominazione
di vendita del prodotto ("cioccolato", "cioccolato
bianco" ecc..), al fine di valutare la qualità del cioccolato
in commercio è utile prestare attenzione ad altri eventuali
diciture:
- "contiene altri grassi vegetali oltre
al burro di cacao": poiché il burro di cacao
è la sostanza grassa ottenuta da semi di cacao, il legislatore
ha imposto tale dicitura per quei prodotti che utilizzino anche sostituti
del primo (max 5%);
- espressioni o aggettivi che evochino criteri di qualità riferiti
alla denominazione "cioccolato": in questi casi il prodotto
deve contenere non meno del 43% di sostanza secca totale di cacao,
di cui non meno del 26% di burro di cacao.
- "cacao:
.% min.":
è un'importante indicatore del tenore di sostanza secca totale
di cacao che deve obbligatoriamente comparire in etichetta;
- "cioccolato puro"
vuol dire che non sono contenuti grassi vegetali diversi dal burro
di cacao.
Questi accorgimenti valgono anche per tutte le altre denominazioni
definite dal suddetto decreto: quali ad es. "cioccolato al latte",
"cioccolato bianco", "cioccolato ripieno", "cioccolatino
o pralina", per il cui utilizzo si devono osservare percentuali
minime di burro di cacao e di sostanza secca totale di cacao tra loro
differenti e facilmente consultabili all'Allegato I del D. Lgs. 178/2003.
Infine, si può leggere in aggiunta alla denominazione "cioccolato"
o "cioccolato al latte" diciture quali ad esempio "in
fiocchi", "di copertura", "alle nocciole gianduia"
ecc.. il cui utilizzo impone l'adeguamento a quantità determinate
e diverse di burro di cacao e di sostanza secca totale di cacao.
Particolare attenzione alle denominazioni va posta anche se il cioccolato
è contenuto quale ingrediente in un altro prodotto finito (ad
es. Biscotti al cioccolato), essendo vietato l'uso improprio di tali
nomi per indicare prodotti non conformi alla relativa definizione
normativa.
Sanzioni
Sia la normativa in materia di etichettatura
dei prodotti alimentari (D. Lgs. 109/92) che quella specifica concernente
i prodotti di cioccolato e cacao (D. Lgs. 178/2003) comportano l'assunzione
di responsabilità derivanti dall'eventuale non conformità
del prodotto e la conseguente applicazione di sanzioni amministrative
pecuniarie. Il prodotto alimentare, nelle normative in esame, è
considerato sotto il profilo formale e non sotto quello della sua
composizione chimico-fisica, nel qual caso le responsabilità
sono punite da normative di natura penalistica.
Qualora la difettosità dell'etichetta possa indurre in errore
circa le caratteristiche del prodotto (quantità, durabilità,
luogo di origine o provenienza ecc..) l'art. 18/1 D. Lgs. 109/92 prevede
la sanzione amministrativa pecuniaria da € 3.500 a € 18.000,
ovvero da € 1.600 a € 9.500 se la violazione riguarda le
disposizioni dell'art. 3 riportante l'elenco delle disposizioni obbligatorie
per i prodotti preconfezionati sopra meglio descritta.
Invece, per chiunque utilizza in etichetta denominazioni di vendita
per prodotti di cacao e cioccolato non conformi alle caratteristiche
per essi stabilite, si applica la sanzione da € 3000 a €
8.000, prevista anche per chi fa uso del termine "cioccolato
puro" per prodotti contenenti grassi vegetali diversi dal burro
di cacao.
La sanzione si riduce da € 1.000 a € 5.000 per chi aggiunga
grassi vegetali in misura eccedente al 5% del prodotto finito, o per
chi impiega sostanze aromatizzanti che imitino il sapore del cioccolato
o delle sostanze grasse del latte, oppure ancora da € 3.000 a
€ 5.000 per chi riporta in etichetta le denominazioni suddette
per indicare impropriamente prodotti di cioccolato quali ingredienti
di altri alimenti finiti.
Come
dicevano inizialmente in premessa relativamente alla funzione di richiamo
dell'etichettatura, permane inoltre il reato previsto dall'art.
13 L. 283/62 "che concerne in generale la cosiddetta pubblicità
ingannevole".
Tale reato, non ancora abrogato, nonostante l'entrata in vigore del
D.lgs. 27 gennaio 1992 n. 109, stabilisce che "l'etichettatura,
la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari non
deve indurre in errore l'acquirente sulle caratteristiche del prodotto
e precisamente sulla natura, sulla identità , sulla qualità,
sulla composizione, sulla quantità, sulla durabilità,
sul luogo d'origine o di provenienza, sul modo di ottenimento o di
fabbricazione del prodotto stesso", e per il quale l'art.
18 D.lgs. 109/92 prevede una sanzione amministrativa pecuniaria.
La propaganda ingannevole di cui all'art. 13 L. 283/62 viene rinvenuta
ogniqualvolta "l'uso delle denominazioni sia tale da ingenerare
la convinzione, nel consumatore, che quel prodotto sia di qualità
superiore a quella effettivamente riscontrabile". Per cui l'uso
di attributi elogiativi "extra, super e altre analoghe"
sono giustificate dalla giurisprudenza solo se la migliore qualità
vantata possa concretizzarsi in precise caratteristiche organolettiche
(Cass. 17.04.1984).
In sintesi, al di là del piacere di gustare un prodotto di
qualità, una maggiore consapevolezza dei principi in materia
di etichettatura da parte degli operatori del settore unitamente ad
un piccolo gesto di attenzione al supermercato da parte nostra, come
consumatori, è paradossalmente sufficiente a ridurre, se non
ad inibire, tutti gli eventuali rischi di contestazione e di ingannevolezza
del messaggio pubblicitario.